Archivo mensual: enero 2024

Ecuador: un Paese “inquinato” dal narcotraffico in un intreccio di traffici illeciti, riciclaggio, controllo delle carceri, vincoli politici, Sir-Vaticano.

16 gennaio 2024

Perché uno dei Paesi più piccoli e, un tempo, relativamente tranquilli dell’America Latina si è trasformato in una sorta di Messico o Colombia, travolto dal terrore che viene imposto dai cartelli del narcotraffico? La domanda rimane, mentre l’emergenza dei giorni scorsi, con l’ondata di violenza scatenata dai gruppi criminali, sia nelle carceri sia nelle strade di alcune città, è lentamente rientrata, per lasciare, in ogni caso, posto alla paura e alla preoccupazione per “i prossimi attacchi”

(Foto ANSA/SIR)

Perché l’Ecuador? Perché uno dei Paesi più piccoli e, un tempo, relativamente tranquilli dell’America Latina si è trasformato in una sorta di Messico o Colombia, travolto dal terrore che viene imposto dai cartelli del narcotraffico? La domanda rimane, mentre l’emergenza dei giorni scorsi, con l’ondata di violenza scatenata dai gruppi criminali, sia nelle carceri sia nelle strade di alcune città, è lentamente rientrata, per lasciare, in ogni caso, posto alla paura e alla preoccupazione per “i prossimi attacchi”.

Nessuno pensa che il lento rilascio degli agenti di custodia delle carceri e il ritorno di una relativa calma nel Paese significhi che “il peggio è passato”,anche se si è, in ogni caso, assistito a una risposta forte da parte del Governo del giovane presidente Daniel Noboa, recentemente eletto. In particolare, non lo pensano coloro che il Sir ha contattato per capire un po’ più in profondità l’attuale situazione del Paese, tra l’altro connessa in modo non episodico alle mafie europee e in particolare italiane, e le prospettive per il prossimo futuro, che probabilmente sarà costellato da altra violenza e terrore.

“C’è un dato impressionante – denuncia Francisco Carrión Mena, docente emerito della Facoltà latinoamericana di Scienze sociali (Flacso) di Quito -.  Nel 2014, il tasso di omicidi nel Paese era di 5 ogni 100 mila abitanti, ora è di 46: 9 volte tanto. Una svolta repentina, che però ha cause, anche remote, ben precise”. Una situazione che, secondo il giornalista d’inchiesta Juan Carlos Calderón, direttore della testata Plan V, “non sarebbe stata possibile senza le commistioni con la politica e le istituzioni, ai vari livelli”.

I motivi dell’escalation.Perché, dunque, l’Ecuador si è trovato a essere il crocevia del narcotraffico? Ci sono cause semplicemente geografiche: il Paese, dove non esistono vaste coltivazioni di coca, è stretto tra i due Paesi maggiori produttori al mondo: la Colombia a nord, il Perù a sud.Le numerose città portuali sul Pacifico, soprattutto Guayaquil, rappresentano un ideale connessione con il Centroamerica e il Messico. Poi, ci sono alcuni fatti ben precisi. “A inizio millennio – spiega il prof. Carrión – gli Stati Uniti hanno lanciato il famoso Plan Colombia, dichiarando guerra ai produttori di coca nel Paese confinante. Il risultato è stato che le attività legate al narcotraffico si sono ‘spalmate’ nei Paesi vicini, Ecuador e Venezuela, dove si poteva agire più indisturbati. Già qualche anno prima, aveva perso importanza la rotta diretta tra Colombia e Stati Uniti, a tutto vantaggio dei cartelli messicani, che negli anni sono diventati i dominatori del mercato. In Ecuador questi cartelli hanno trovato terreno fertile negli ultimi anni, per la singolare posizione geografica e per le scelte politiche che hanno caratterizzato i Governi a partire dal 2017, con la presidenza di Lenín Moreno, e sono proseguite con Guillermo Lasso, il presidente che si è dimesso nei mesi scorsi. Scelte che si possono riassumere con lo slogan ‘Stato minimo’. In pratica, un’assenza della politica dai processi sociali e dalla presenza sul territorio, con un’unica risposta, emersa anche in questi giorni, di tipo militare”.

Risposta debole e contraddittoria, secondo il giornalista Calderón, anch’egli convinto che i fatti di questi giorni abbiano solide radici: “Un anno chiave è 2018, quando si verificò una serie di attacchi, a giornalisti e agenti, a San Lorenzo, alla frontiera con la Colombia, attribuita ai dissidenti della ex guerriglia colombiana delle Farc. Da quel momento, l’attività dei colombiani si intreccia a quella dei cartelli messicani, in particolare il cartello di Sinaloa, che ha trovato qui l’appoggio dei Los Choneros, e di Jalisco Nueva Generación. Le dispute tra cartelli si sono spostate anche nel nostro Paese, e il decreto con cui il Governo ha decretato lo Stato di conflitto interno cita per nome 22 gruppi criminali, anche se i maggiori sono quattro o cinque”.L’Ecuador è diventato, così, un fondamentale snodo, non solo verso il Messico e gli Usa, ma anche verso l’Europa, soprattutto attraverso i porti di Rotterdam e Anversa, oppure attraverso la Spagna, in particolare il porto di Algeciras.Nei mesi scorsi, ci sono stati vari sequestri di 8-9 tonnellate di coca provenienti dal Paese latinoamericano, “per Rotterdam passano almeno 50 tonnellate di coca all’anno”. Centrale il ruolo delle mafie, come la ‘ndragheta e i gruppi albanesi. Racconta il cronista: “Dal carcere di Latacunga, qui in Ecuador, alcuni boss albanesi gestivano indisturbati il traffico con l’Europa”.

Traffici illeciti e carceri: le “leve” dei cartelli.Il narcotraffico ha, di fatto, “inquinato” e corrotto tutto il Paese, in un intreccio di traffici illeciti, riciclaggio, controllo delle carceri, vincoli politici.Il docente fa presente che “si è iniziato a pagare la coca non con i dollari, ma attraverso la cocaina stessa. Da qui la sovrapproduzione, che ha causato anche un crollo del prezzo di circa due terzi, la necessità di aumentare il consumo interno, la ricerca di nuovi mercati – dal Brasile, con i suoi potenti cartelli, all’Europa – il riciclaggio”. Conferma Calderón: “Ci sono fortissime connessioni tra la coca e le miniere d’oro illegali, che diventano una modalità di riciclaggio. I passaggi dell’oro sono meno facili da seguire. Ma esistono anche altri traffici illeciti vincolati al traffico di droga. Pensiamo alle armi, il cui possesso è fondamentale per i cartelli, che hanno una forza di 40-50 mila persone armate. Si tratta di un vero e proprio esercito, con numeri maggiori rispetto a quello ‘regolare’, che conta 38 mila effettivi, mentre in tutto il Paese gli agenti di polizia sono 52 mila”.

Altro fronte strategico è quello delle carceri, totalmente in mano ai cartelli,secondo il giornalista, “fin dal 2013, quando, mentre era presidente Rafael Correa, i Choneros hanno preso il controllo di alcune strutture in cambio di pacificazione. Lo Stato ha permesso che venisse perso il controllo delle carceri. Oggi tutto è in mano ai gruppi criminali, dai materassi dei letti alla ristorazione. Un detenuto deve pagare il pizzo per dormire o per telefonare. In tal modo, le stesse carceri sono diventate anche un modo per creare un ulteriore giro di soldi”. Il docente conferma: “Va premesso che il Codice penale del 2014 ha inasprito il controllo sulla criminalità, la popolazione carceraria è aumentata in otto anni da 14 mila a 42 mila persone. Poi, le Istituzioni sono venute a patti, con i detenuti ripartiti nelle strutture di detenzione per ‘affinità’. In tal modo, ogni padiglione è in mano a un’organizzazione”.

Le collusioni della politica. Resta il nodo delle collusioni con la politica, centrale in vista del futuro. Calderón ne è convinto: “Ormai i narcos finanziano le campagne elettorali, almeno 40 Municipi sono sotto il controllo della narco-politica. Siamo arrivati a questo punto a causa delle collusioni dei partiti e dei funzionari pubblici”.

Carrión è convinto che il rischio sia, soprattutto, un altro:“La politica ha perso il suo ruolo, più che altro è assente. Lo Stato manifesta la sua presenza solo attraverso l’Esercito e la Polizia, solo con provvedimenti di ordine pubblico. La gente ha sempre più paura e non esce di casa.Ora, i gruppi criminali hanno rotto la luna di miele del nuovo presidente Noboa. La risposta ha fatto salire il suo consenso, ma si resta sempre dentro una logica di forza, di carattere militare. Personalmente, penso che la risposta dello Stato abbia fatto retrocedere, per ora, i gruppi criminali. Ma si tratta di convenienza, presto torneranno ad alzare la testa, è una cosa ciclica”.

*Bruno Desidera, giornalista de “La vita del popolo”, e Cristiano Morsolin

Ecuador: a country ‘contaminated’ by drug trafficking, caught up in a network of illicit trade, money laundering, prison control and political constraints, SIR-Vaticano.

(Foto ANSA/SIR)

Why is it that one of the smallest and once relatively peaceful countries in Latin America is now comparable to Mexico or Colombia in terms of the overwhelming fear imposed by the drug trafficking cartels? The question remains unanswered. The crisis of recent days, marked by a wave of violence unleashed by criminal gangs both in prisons and on the streets of some cities, has subsided, only to be replaced by fear and anxiety over “the next attack”

(Foto ANSA/SIR)

Why Ecuador? Why is it that one of the smallest and once relatively peaceful countries in Latin America is now comparable to Mexico or Colombia in terms of the overwhelming fear imposed by the drug trafficking cartels? The question remains unanswered. The crisis of recent days, marked by a wave of violence unleashed by criminal gangs both in prisons and on the streets of some cities, has subsided, only to be replaced by fear and anxiety over “the next attack.”

No one is suggesting that the gradual release of the prison guards and the relative stability that has returned to the country means that the worst is over,

although there has been a strong reaction from the government of recently elected President Daniel Noboa. In particular, this does not seem to be the opinion of experts contacted by SIR in order to gain a broader understanding of the current situation in the country – which, among other things, is linked to the European and especially the Italian Mafia in a continuous basis – and of the immediate prospects, which are likely to be marked by further violence and terror.

“There is one alarming figure”, points out Francisco Carrión Mena, Professor Emeritus at the Latin American Faculty of Social Sciences (FLACSO) in Quito. “In 2014 the country registered a homicide rate of 5 per 100,000 inhabitants, now it stands at 46, which is nine times higher. However, this sudden development has very specific, long-standing causes”, he said. According to investigative journalist Juan Carlos Calderón, director of the newspaper Plan V, this “would not have happened without the collusion of politicians and public institutions at different levels.”

The reasons for the escalation.

Why is Ecuador becoming a hotbed of drug trafficking? For purely geographical reasons: there are no major coca crops in the country, and it is nestled between two of the largest coca-producing countries in the world: Colombia to the north and Peru to the south.

The many port cities on the Pacific coast, especially Guayaquil, provide an ideal link to Central America and Mexico. There are also some very specific factors. “At the turn of the millennium,” says Professor Carrión, “the United States launched its famous Plan Colombia, declaring war on its neighbour’s coca producers. As a result, drug-trafficking operations were ‘relocated’ to neighbouring countries, Ecuador and Venezuela, where it was possible to carry out illegal activities without much interference. The direct route from Colombia to the United States had become less important a few years earlier, to the benefit of the Mexican cartels, which have become the most dominant drug traffickers over the years. In recent years, these cartels have found a favourable environment in Ecuador, thanks to its unique geographical location and the policies adopted by the government, starting in 2017 under the presidency of Lenín Moreno and continuing with Guillermo Lasso, the president who resigned a few months ago. These policies can be summed up in the term ‘minimal state’, which corresponds to the absence of the political realm from social processes and presence on the ground, with only one type of response, which has also emerged in recent days, of a military nature.”

The response has been weak and inconsistent, says Calderón, who is convinced that the causes of the recent incidents are deep-rooted: “2018 was a key year, coinciding with a series of attacks on journalists and police officers in San Lorenzo, on the border with Colombia, attributed to dissidents of the former Colombian guerrilla FARC. Since then, the illicit activities of the Colombians have become intertwined with those of the Mexican cartels, particularly the Sinaloa cartel, with local support from the Los Choneros crime syndicate, and the Jalisco Nueva Generación. The cartels’ disputes have spread to Ecuador, where the government’s decree declaring a state of internal strife names 22 criminal groups, “although there are four or five major ones.”

Ecuador has thus become a key gateway to Mexico and the United States as well as Europe – notably through the ports of Rotterdam and Antwerp, or through Spain, in particular the port of Algeciras.

In recent months, several seizures of 8-9 tonnes of coca have been carried out in this Latin American country; “at least 50 tonnes of coca pass through Rotterdam every year.” The role of Mafia syndicates, such as the Italian ‘Ndrangheta and Albanian gangs, plays a central role. The journalist explains: “Some Albanian mafia bosses ran the drug trade with Europe from the Latacunga prison, here in Ecuador.”

Illegal trade and prisons: the ‘levers’ of the cartels.

Drug trafficking has in fact “contaminated” and corrupted the entire country, which has become entangled in a web of illicit trafficking, money laundering, prison control and political constraints.

The expert points out that “drug traffickers began to pay for coca not in dollars but in cocaine. Hence the overproduction, which also caused the price to fall by around two-thirds, the need to increase domestic consumption, the search for new markets – from Brazil, with its powerful cartels, to Europe – and money laundering.” Calderón confirms: “There are very strong ties between cocaine and illegal gold mining, which is now a way of laundering money. The gold routes are less easy to follow. But there are also other illicit trades linked to drug trafficking, such as arms – the possession of which is fundamental for the drug cartels, which have a force of 40-50,000 armed men. This is a veritable army, with more members than the ‘regular’ army, which numbers 38,000, while there are 52,000 police officers throughout the country.”

The prisons represent yet another strategic front. The drug cartels control them completely.

According to the journalist, “since 2013, when President Rafael Correa was in office, the Choneros took control of some institutions in exchange for pacification. The State has let them take control of the prisons. Now everything is in the hands of criminal groups, from the mattresses to the meals. A prisoner has to pay protection money in order to sleep or make phone calls. In this way, the prisons have become a vehicle for further financial exploitation.” The expert explains: “It should be noted that the Criminal Code of 2014 made crime control more stringent, the prison population increased from 14,000 to 42,000 in eight years. After that, the institutions made a deal: the inmates were distributed among the prisons according to their ‘affinities’. In this way, each prison ward is controlled by a crime syndicate.”

Political collusion. The problem of political collusion, and it will remain a key issue moving forward. Calderón is convinced: “Today, the narcos finance political campaigns, and at least 40 municipalities are under the control of narco-politics. We have reached this point because of the collusion between political parties and civil servants.

Carrión sees a greater danger:

“Politics is no longer relevant, it is conspicuously absent. The state is only present through the army and the police, and only to maintain public order. People are increasingly afraid. They don’t go out of their homes.

Criminal groups have disrupted the honeymoon period of the new president, Noboa. His response has increased his consensus, but it still remains within the framework of military force. Personally, I think the state’s response has demoted the criminal gangs for the time being. But it’s just a matter of time. They will make a comeback soon, it’s a cyclical process.”

*Bruno Desidera, journalist at “La vita del popolo” and Cristiano Morsolin, Bogotá

Arzobispo Monsalve recuerda los 40 años de consagración episcopal del Cardenal Paolo Romeo.

«Hoy 30 de enero quiero unirme para celebrar los 40 años de consagración episcopal del querido e inolvidable Cardenal Don Paolo Romeo, emérito de Palermo y quien fuera Nuncio Apostólico en Colombia. De sus manos recibí la elección y la ordenación como Obispo Auxiliar de Medellín (15 -XI-1993).

Una gran persona, un cálido y fraterno pastor, un excelente acompañante de los obispos surgidos de su gestión y ministerio, con un excepcional sentido del humor y una contagiosa alegría. El Buen Pastor lo conserve vigoroso y llameando el Evangelio por muchos más años».

+Darío de Jesús Monsalve Mejía, arzobispo emérito de Cali.

Cristiano: de nuevo, mi más vivo agradecimiento por estas oportunidades de expresión y difusión que en tu condición de comunicador me brindas. Sea “el Evangelio de Dios”, Jesús, quien resplandezca en todo y retribuya tu labor. +Darío de Jesús.

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https://www.religiondigital.org/america/presidente-Petro-Muhamad-encuentro-Papa-Colombia-paz-Ecologia-ELN_0_2635536422.html

El presidente Petro y la ministra Muhamad, tras el encuentro con Francisco: «Tenemos una enorme simpatía por el Papa». Especial de Morsolin para Religión Digital.

¿Qué impacto va a tener en la geopolítica mundial en favor de la paz global, la nueva alianza entre el Papa Francisco, el Presidente Petro, el Presidente Lula, el Presidente Macron y la comunidad de Sant’Egidio (la diplomacia del Trastevere)?

El impresionante liderazgo feminista de la ministra de medioambiente Susana Muhamad (de origen palestina) que tuvo la osadía de invitar a su Santidad, a unirse al Tratado de No Proliferación de Combustibles

¿Por cuales razones varios senadores de la oposición consideran inviable que las negociaciones con el ELN se hagan en el Vaticano?

Monseñor Monsalve: «La paz es necesaria, más aún, urgente y apremiante, ‘producto de primera necesidad’, elemento vital para que la humanidad se dedique a ella misma, no a las guerras».

21.01.2024 | Cristiano Morsolin*

«Nosotros tenemos una enorme simpatía por el Papa. Hemos coincidido incluso desde el punto de vista político, no solamente religioso, en sus encíclicas, Laudato Si’, la que fue absolutamente inspiradora, alrededor del nuevo relacionamiento del ser humano con la naturaleza»: a las 9:55 am, tuvo lugar el encuentro entre el Papa Francisco y el presidente de Colombia, Gustavo Petro, el pasado viernes 19 de enero de 2024, junto a la ministra de medioambiente Susana Muhamad y el Canciller Álvaro Leyva, en el Palacio Apostólico del Vaticano.

El mandatario destacó que «fue una entrevista bastante larga con el Papa Francisco y después con otros miembros del Estado del Vaticano. Hemos hablado de la paz de Colombia, como lo habíamos dicho, buscando una posición mucho más activa, tanto del Estado del Vaticano como de la Iglesia Católica, en el proceso de paz de Colombia. 

Es posible que hagamos una ronda acá en el Vaticano, ya se hablará con el Ejercito de Liberación Nacional ELN, para que podamos construir un paso todavía más profundo en la dejación de la violencia, con un escenario como este, lo que me parecería muy sugerente para toda la sociedad colombiana. 

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Vasto eco per l’udienza del Papa al presidente Petro. Mons. Monsalve al Sir, “Vaticano ha sempre mantenuto incoraggiamento e speranza”. Speciale di Morsolin.

20 gennaio 2024

Ha avuto vasta eco nei media colombiani l’udienza concessa ieri da Papa Francesco al presidente colombiano Gustavo Petro. Un colloquio incentrato sul cammino di “pace totale” che il Paese sta vivendo. Da Petro, già nei giorni scorsi, per arrivato un riconoscimento del ruolo “eccezionale” della Chiesa, “nella costruzione della pace colombiana”. Petro ha sostenuto in questi giorni che la Chiesa è stata il suo “principale aiuto nel territorio colombiano”. Nel corso del colloquio, secondo quanto ha riferito il presidente colombiano, quest’ultimo ha chiesto al Papa di ospitare in Vaticano una delle sessioni di dialogo tra il Governo di Bogotá e la guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale – Eln (il sesto ciclo di colloqui inizia in questo fine settimana a Cuba).
Su questa prospettiva il Sir ha contattato (attraverso Cristiano Morsolin) l’arcivescovo emerito di Cali, mons. Darío de Jesús Monsalve Mejía, che sta offrendo la sua mediazione soprattutto nei colloqui di pace con l’Eln. “Attualmente – afferma -cerchiamo, con altri arcivescovi e vescovi del Paese, con leader religiosi e laici, con accademici e imprenditori, sempre sostenuti e accompagnati dalla comunità internazionale, di offrire il nostro appoggio all’iniziativa di ‘pace totale’ condotta dal Governo Petro, con il suo Alto Commissario per la pace, con i tavoli di dialogo con gli attori armati sovversivi, i dissidenti, i paramilitari e le bande multicriminali”.
Riconosce, infatti, l’arcivescovo: “Quando il precedente Governo ha sospeso il dialogo con l’Eln e non ha permesso a Cuba di ospitare e facilitare questi dialoghi, entrando in una fase dolorosa e tragica, è stata la Santa Sede, con la Nunziatura, a mantenere per quattro anni il contatto di incoraggiamento e speranza con la delegazione dell’Eln a L’Avana, fino alla riapertura dei cicli di dialogo che si stanno svolgendo ora e che riprendono proprio oggi, 20 gennaio, con il sesto ciclo, a Cuba”. In quest’ottica, conclude mons. Monsalve, “l’incontro tra il presidente colombiano Petro e Papa Francesco potrebbe dare impulso a questi processi in corso e a nuovi, per rafforzare l’opera di pace in Colombia, nei Caraibi, in America Latina e nel mondo”.

Colombia: cessate-il-fuoco tra Governo ed Eln prorogato di una settimana. Si continua a trattare per una scadenza prolungata

30 Gennaio 2024

Il Governo colombiano e la guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) hanno annunciato la proroga di una settimana del cessate-il-fuoco di sei mesi, che scadeva alla mezzanotte di ieri. Si tratta di un’intesa di carattere “tecnico”, con l’obiettivo di valutare un’ulteriore proroga prolungata al tavolo dei negoziati in corso a L’Avana. L’anno scorso le parti avevano firmato un cessate il fuoco di sei mesi. La breve proroga è il segnale che la trattativa, alla quale prende parte come facilitatrice anche la Chiesa colombiana, prosegue, ma anche che non mancano le difficoltà, soprattutto per la volontà del Governo di inserire tra le condizioni anche la conclusione dei rapimenti a scopo estorsivo. Il capo negoziatore della guerriglia, alias “Pablo Beltrán”, ha avvertito della necessità di una “valutazione approfondita e senza fretta” di un’eventuale proroga, sostenendo che “le operazioni paramilitari” di altri gruppi armati contro l’Eln sono continuate durante l’attuale cessate-il-fuoco. In un messaggio su X, Beltrán ha precisato che queste operazioni, pur essendo condotte dal cartello Clan del Golfo e da dissidenti della guerriglia delle Farc, sarebbero avvenute “in collaborazione con l’esercito colombiano”. Nei prossimi giorni di questo sesto ciclo di negoziati, la trattativa proseguirà. In occasione della recente udienza in Vaticano, il presidente della Colombia Gustavo Petro ha avanzato l’ipotesi che uno dei prossimi cicli di dialogo possa, appunto, tenersi in Vaticano.

Guatemala: presidente Arevalo ha giurato, “mai più autoritarismo né violenza”. Card. Ramazzini ai cittadini in piazza, “gli storici parleranno di voi” – Morsolin su Sir-Vaticano.

15 gennaio 2024

Alla fine ce l’ha fatta. Quando in Guatemala era già scoccata la mezzanotte, Bernardo Arévalo ha giurato come nuovo presidente del Guatemala, al termine di una giornata lunghissima e carica di tensioni. Non sono bastati i quasi 5 mesi trascorsi dalla sua elezione per dirimere tutte le questioni giudiziarie e procedurali, spesso strumentali, con le quali il tradizionale establishment ha cercato di sbarrare la strada al presidente legittimamente eletto, come hanno denunciato tutti gli organismi internazionali, lo stesso Dipartimento di Stato americano e, in più occasioni, la Conferenza episcopale del Guatemala (Ceg). Ieri, mentre molti manifestanti si radunavano all’esterno dei palazzi del potere, la disputa ha riguardato, soprattutto, l’assetto del nuovo Parlamento, dopo che una sentenza giudiziaria aveva inabilitato il gruppo del presidente eletto Semilla a fare parte del Parlamento (i singoli deputati sarebbero stati considerati come indipendenti). Ciò ha provocato tensioni e una lunga trattativa, al termine della quale il partito Semilla è stato reintegrato come parte del Parlamento, mentre la Corte costituzionale, riunita d’urgenza, aveva chiesto al Parlamento di procedere con il proprio insediamento e con il giuramento del presidente. A Città del Guatemala erano presenti numerosi capi di Stato e rappresentanti di organismi internazionali, tra cui Joseph Borrell per l’Unione europea. “Il sostegno internazionale ha contribuito a sostenere la democrazia – ha detto il nuovo presidente nel suo discorso –. Negli ultimi mesi abbiamo affrontato tensioni complesse che hanno fatto credere che fossimo destinati a un ritorno autoritario. Mai più autoritarismo, mai più violenza o arbitrio per mantenere programmi particolari. Mai più le istituzioni si piegheranno alla corruzione e all’impunità”.
Durante la giornata, il cardinale Alvaro Ramazzini, vescovo di Huehuetenango, ha celebrato una messa all’esterno, evidenziando nell’omelia il ruolo importante dei cittadini, che negli ultimi mesi hanno difeso la democrazia: “avete dato un esempio di solidarietà, spero che in futuro gli storici sottolineino quello che avete fatto”. Facendo riferimento alla lettura di san Paolo (“il corpo è tempio dello Spirito Santo”), ha affermato che proprio per questo ogni uomo la sua dignità e vanno difesi i diritti umani di ciascuno.

El cardenal Ramazzini bendice la investidura de Bernardo Arévalo como presidente de Guatemala

Aunque no se haya posicionado oficialmente la Conferencia Episcopal de Guatemala, Arévalo ha tenido un gran apoyo en el cardenal Álvaro Ramazzini, quien, en los peores momentos de las protestas, no dudó en manifestarse ante la sede del Ministerio Público para exigir la renuncia de la fiscal Porras, entendiendo que actuaba movida por criterios políticos y al servicio de los intereses de la élite aún gobernante. Algo que, por cierto, motivó que, en diciembre, la Red Clamor denunciara que sobre él pudiera pesar una orden de captura. Y, de hecho, su salida durante un mes a Alemania, fue vista por muchos con temor.

Sin embargo, el mismo día de la investidura presidencial, en un gesto cargado de simbolismo, el obispo de Huehuetenango volvió a protagonizar un importante acto ante la sede del Ministerio Público. En este caso, se trató de una misa, rodeado de miles de manifestantes. En su homilía, Ramazzini les agradeció así su tenacidad en esos 105 días de resistencia y movilizaciones: “Hoy ustedes han dado un gran ejemplo de solidaridad que ojalá cuenten los historiadores cuando escriban la historia de Guatemala. Así, cuando lo lean sus nietos, puedan decir: ‘Mi abuelo y mi abuela estuvieron allí, defendiendo la justicia’”.

El pueblo, cansado de las mentiras

Algo que para el purpurado es propio de “los seres políticos, pues tenemos razones políticas para movilizarnos. Eso sí, con una gran diferencia: no somos seres políticos partidistas”. Hasta el punto de que lo que mueve a los manifestantes es que “defendemos la vida, la dignidad del ser humano, sea quien sea. Hay que defender los derechos humanos, pues somos templos del Espíritu Santo”.

Para Ramazzini, los historiadores escribirán esto: “En el año 2023, el pueblo, cansado de las mentiras, cansado de los engaños, cansado de la superficialidad con la que se vive muchas veces desde los puestos públicos, demostró lo que muchas veces ha dicho: ‘El pueblo, unido, jamás será vencido’”. Frase que hizo repetir a los presentes, tras lo que preguntó: “¿Y de dónde nace esa unidad?”. Algo a lo que él mismo respondió: “Del amor. De amor por el país, del amor por tus hijos, del amor por tu esposa, por tu esposo. Del amor por Guatemala”.

On. PORTA (PD): «LA VISITA DEL PRESIDENTE DELLA COLOMBIA A PAPA FRANCESCO NEL COMUNE IMPEGNO PER LA PACE, LA LOTTA ALLE MAFIE E IL SOSTEGNO A DIRITTI E AMBIENTE». Collaborazione di Morsolin da Bogota

PORTA (PD): «LA VISITA DEL PRESIDENTE DELLA COLOMBIA A PAPA FRANCESCO DOPO GUATEMALA E DAVOS, NEL COMUNE IMPEGNO PER LA PACE, LA LOTTA ALLE MAFIE E IL SOSTEGNO A DIRITTI E AMBIENTE»

(19 gennaio 2024) – «Salutiamo con favore e speranza la visita del Presidente colombiano Gustavo Petro in Vaticano, all’insegna del comune impegno con il Pontefice per la pace mondiale, il rispetto dei diritti sociali e la difesa dell’ambiente. Il Presidente Petro – in un lungo viaggio che lo ha portato da Città del Guatemala per sostenere l’insediamento del primo presidente progressista Bernardo Arevalo (suo padre fu deposto da un golpe nel ‘54) e poi a Davos per il Forum economico mondiale dove ha sostenuto la difesa dell’Amazzonia sull’ottica dell’enciclica Laudato si’ – incontra oggi Papa Francesco».

«Voglio ricordare i molti legami esistenti tra Italia e Colombia, e in primo luogo la comune lotta al narcotraffico e al commercio di armi tra i porti di Buenaventura e Gioia Tauro all’insegna di una vera e propria connection criminale tra ndrangheta e cartelli colombiani.»

«A questo proposito voglio esprimere la preoccupazione mia e del Partito Democratico per l’assassinio di 188 leader sociali uccisi nel corso del 2023 per la loro difesa dei diritti umani, dato che ha assegnato alla Colombia il triste primato mondiale del massacro di leader ambientalisti a livello internazionale».

«L’Italia e l’Europa non possono chiudere gli occhi davanti alla tragedia di milioni di migranti venezuelani che anche in Colombia soffrono discriminazione e razzismo; non mancherò di sollecitare il Parlamento Italiano rispetto ad una maggiore cooperazione con la Colombia e la sua popolazione, che da oltre mezzo secolo cerca di costruire la pace in mezzo ad un conflitto armato interno aggravato negli ultimi anni anche dal narcobusiness delle mafie italiane» così il deputato democratico eletto in America Meridionale, Fabio Porta.

ON. FABIO PORTA
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