Archivo mensual: agosto 2021

Ieri colloquio tra p. De Roux e Uribe, ma il Governo non vuole prorogare il lavoro della Commissione per la verità. Commento di Morsolin su Sir-Vaticano.

FOTO: Papa Francesco riceve Morsolin in udienza del 20 ottobre 2017

17 agosto 2021

Momento chiave per il futuro della pace in Colombia. Si è svolto ieri l’atteso incontro tra l’ex presidente della Repubblica Álvaro Uribe e il presidente della Commissione della verità, il gesuita Francisco De Roux, pur al di fuori dell’attività della Commissione stessa, mai riconosciuta dal politico che ha segnato le vicende della Colombia negli ultimi vent’anni. Il dialogo, trasmesso via internet, si è tenuto nell’abitazione dell’ex presidente, un’ampia “finca” (fattoria) nella campagna dell’Antioquia, non lontano da Medellín. Nelle scorse settimane Uribe in qualche modo aveva riconosciuto la vicenda dei “falsos positivos”, i civili fatti passare per guerriglieri e vittime di esecuzioni extragiudiziali, negli anni della sua presidenza. Ieri però, nel corso di un colloquio cordiale ma a tratti teso, anche per le precise domande di padre De Roux, Uribe ha molto circoscritto questo riconoscimento, rivendicando i risultati della sua presidenza.


Tuttavia, proprio nel momento in cui la Commissione presieduta da padre De Roux ha chiesto un ulteriore anno per concludere la propria attività, il Governo presieduto da Ivan Duque si sta rifiutando di prorogare e finanziare questa proroga. Sulla questione è intervenuta Alison Milton, ambasciatrice dell’Irlanda in Colombia, promettendo di sollevare il tema al Consiglio di sicurezza dell’Onu, di cui l’Irlanda fa parte, nella prossima udienza di settembre. Ha dichiarato l’ambasciatrice: “L’accertamento della verità è una delle principali condizioni per una pace stabile e duratura. Questa richiesta della Commissione per la verità sarà in grado di dare risposte definitive a molti colombiani”.


Commenta da Bogotá Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani: “L’attenzione della comunità internazionale e il lavoro portato avanti nei mesi scorsi dal Tribunale permanente dei popoli sono essenziali per mantenere in Colombia una speranza di pace. In questo scenario spicca l’autorità etica mondiale di Papa Francesco e il ruolo del Vaticano nel portare avanti una cultura del dialogo e di difesa degli ‘scartati’ delle periferie, come emerso anche nelle settimane scorse, in occasione della visita in Colombia di mons. Bruno Duffé, segretario del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. Quanto all’incontro di ieri con padre De Roux, Uribe continua a non riconoscere la legittimità della Commissione della verità e neppure l’accordo di pace. Ripropone una verità addomesticata, continuando a nascondere gli stessi fantasmi del leader paramilitare Salvatore Mancuso, che ha detto di aver incontrato casualmente due o tre volte. Uribe non riconosce nella sua portata il dramma dei falsos positivos, per paura dell’intervento della Corte penale internazionale, come chiesto dal giurista Luigi Ferrajoli e dal Tribunale permanente dei popoli”.

Colombia: il gesuita Giraldo al Sir, “sulla carta è un Paese esemplare nella lotta contro il genocidio, non così nella realtà”. Seconda parte sul SIR-Vaticano.

17 agosto 2021

Nel delicato momento che attraversa il processo di pace in Colombia, vasta eco ha avuto la recente visita nel Paese di mons. Bruno Duffé, segretario del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. Un viaggio legato all’attività del Tribunale permanente dei popoli (Tpp), che nei mesi scorsi ha tenuto una sessione dedicata alla Colombia. Un ruolo chiave, sia nella sessione del Tpp sia nella visita di mons. Duffé, è stato rivestito dal gesuita Javier Giraldo fondatore e ora responsabile della banca dati dell’Istituto gesuita Cinep.
Racconta al Sir padre Giraldo: “L’origine di questa terza sessione colombiana del Tpp risale allo scorso anno quando iniziarono a uscire le prime analisi sul processo di pace tra la guerriglia delle Farc e il Governo colombiano. La maggior parte dei movimenti sociali di base iniziarono a vedere che stava andando tutto in frantumi, che non si stavano compiendo i punti dell’accordo, che la violenza, invece di diminuire, era addirittura aumentata e che il processo di pace era un inganno. La novità, di questo movimento, costituito per la maggior parte da gruppi di organizzazioni sociali di base, da movimenti sociali, è stata quella di iniziare a interrogarsi: è da 40 anni che stiamo parlando di processi di pace e tutti sono andati in frantumi. Si firmano questi accordi e l’effetto più visibile è l’assassinio delle persone che firmano tale Accordo. Cosa sta, quindi, succedendo in Colombia?”.
Questo movimento, prosegue padre Giraldo, si è reso conto che “i massacri, perpetrati un secolo fa, avevano come base gli stessi procedimenti, gli stessi metodi e gli stessi pretesti di oggi. Iniziò, quindi, a pensare che ci fosse un qualcosa che non corrisponde semplicemente alla sola circostanza dell’atto crudele. C’è, piuttosto, un qualcosa di incuneato nello stesso modello di Stato. Iniziò, quindi, ad analizzare la ‘categoria’ del genocidio. Abbiamo ottenuto l’aiuto di Daniel Feierstein, grande esperto argentino sul tema. Molti gruppi di avvocati qui in Colombia e attivisti sociali iniziarono a leggere i suoi libri e giunsero alla conclusione che in Colombia esiste un genocidio permanente, espansivo e strutturale che si identifica con il modello di Stato”. Da qui, una petizione al Tpp, che ha portato alla sessione. Giraldo spiega che è stato chiesto al Governo di intervenire in propria difesa, ma ciò non è avvenuto. Il Tpp ha provveduto, allora, a una difesa d’ufficio, che ha messo in luce i molti provvedimenti del Governo contro il genocidio: “La Colombia è uno dei pochissimi Paesi che, nel codice penale, ha, tra le tipologie, il genocidio politico. La Colombia appare quindi, paradossalmente, come un Paese esemplare nella lotta contro il genocidio. Quando però si mettono in fila i fatti, si vede che si tratta solo di pezzi di carta non rispettati. Un atteggiamento che definisco schizofrenico”.

Colombia: il gesuita Giraldo al Sir, “sulla carta è un Paese esemplare nella lotta contro il genocidio, non così nella realtà”

Colombia: mons. Duffé (Dicastero Servizio sviluppo umano integrale), “ripristinare diritto e spazi di mediazione sociale. Comunità internazionale silenziosa”. Prima parte su SIR-Vaticano.

12 agosto 2021

In Colombia c’è l’urgenza di creare, di fronte a “un’assenza totale di mediazione”, spazi di scambi tra i cittadini e coloro che hanno autorità a livello locale (come i sindaci) o più ampia”, con altri soggetti come i Difensori del popolo, attori della società civile, osservatori internazionali, la stessa Chiesa. Lo scrive mons. Bruno Duffé, segretario del Dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale, nel diario della recente visita in Colombia, consegnato al gesuita Javier Giraldo e pervenuto al Sir. Durante i colloqui nelle zone periferiche del Paese, “molti si sono sorpresi di trovare un sacerdote per strada, vicino a loro, venuto dall’Europa, che si era preso del tempo per ascoltarli e anche consolarli quando alcuni genitori piangevano il loro figlio morto durante la tortura”, scrive mons. Duffé. Purtroppo, oggi l’assenza di dialogo e mediazione porta con sé due conseguenze “inquietanti”: una di carattere ideologico, la mancanza di volontà di risolvere il conflitto, e una fisica, l’aumento della violenza e del controllo sistematico delle persone. E “le due posizioni potrebbero confermare che abbiamo una nuova forma di dittatura”. Spazi di mediazione sociale e inter-posizione, secondo il segretario del Dicastero vaticano, sono auspicabili di fronte a giovani che “esprimono chiaramente il loro desiderio di vivere e di realizzare un progetto di vita personale e comunitaria”, oltre che tanta “sete di pace”. Sarebbe determinante, la comunità internazionale, “attualmente silenziosa”.
Mentre “il narcotraffico continua a esistere nell’ombra del Paese, e sappiamo che solo esso permette che si perpetui un sistema di corruzione, nel quale il diritto ha perso la sua autorità e autorevolezza”, la Colombia ha bisogno, secondo mons. Duffé, di un “patto per la vita”, di riaffermare l’autorità del diritto pubblico e dei diritti umani, e della mediazione sociale, che è l’unica possibilità per salvare il ‘patto sociale’, mettendola in pratica in tutti i luoghi: scuole, aziende, quartieri e campagne, chiese e case comuni”, suscitando una responsabilità per “il bene comune”. La Chiesa “può essere attore della Parola condivisa, del dialogo, della reciproca promessa e del perdono”.

Colombia: mons. Duffé (Dicastero Servizio sviluppo umano integrale), “ripristinare diritto e spazi di mediazione sociale. Comunità internazionale silenziosa”

Colombia: mons. Duffé (Dicastero Servizio sviluppo umano integrale), “omicidio dei giovani crimine contro l’umanità”

“Va detto chiaramente: l’omicidio dei giovani – con la tortura, che mira a ridurre al silenzio chi non si vuole ascoltare – è una forma di ‘crimine contro l’umanità’. I giovani sono il futuro della Colombia, come in tutti i Paesi. Ma sono anche il futuro dell’umanità. Quindi uccidere i giovani, i loro figli, sta anche uccidendo il futuro dell’umanità. La parola può sembrare dura ma descrive davvero ciò che si vive oggi in Colombia”. A scrivere queste parole sulla realtà del Paese sudamericano – dove nelle scorse settimane le proteste popolari, perlopiù pacifiche, sono state represse in molti casi nel sangue e in modo sproporzionato, come ha riconosciuto anche la Commissione interamericana per i diritti umani – è mons. Bruno Duffé, segretario del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale.
Mons. Duffé aveva promesso, nel febbraio scorso, al gesuita Javier Giraldo, tra i promotori della sessione del Tribunale permanente dei popoli, il suo personale interessamento alla situazione colombiana. Nei giorni scorsi ha mantenuto la promessa, visitando per una settimana il Paese, parlando con i genitori delle vittime della repressione, con i giovani e tante persone impegnate per la pace. Un vero e proprio viaggio nella “periferia” di uno dei Paesi più diseguali e violenti del mondo. Ne è uscito un diario, datato 9 agosto, che è un forte atto di denuncia, consegnato da mons. Duffé a padre Giraldo (che ieri l’ha pubblicato on line in spagnolo) e pervenuto al Sir.
Secondo il segretario del Dicastero vaticano, lo sciopero nazionale iniziato in aprile e proseguito per molte settimane è stato “un’espressione di disperazione, un chiaro no” a una situazione divenuta intollerabile, per “le troppe diseguaglianze politiche ed economiche, per la troppa corruzione e violenza contro i poveri, per il troppo disprezzo contro i giovani, i lavoratori, le lavoratrici e i rappresentanti della società civile”. Purtroppo, la risposta dello Stato è stata una repressione “violenta, brutale e smisurata”. Scrive mons. Duffé: “Non si fa più riferimento alla legge; non vi è alcun riferimento ai diritti umani fondamentali: il diritto alla vita e all’integrità fisica e morale; diritto alla protezione e alla partecipazione dei cittadini. Ogni iniziativa popolare sembra essere interpretata dallo Stato e dalla forza pubblica come una congiura da stroncare”.
Esiste, perciò, “la necessità di riaffermare l’autorità del diritto pubblico e dei diritti umani che non permette che un movimento sociale – con persone che hanno le mani vuote e disarmate – venga affogato nel sangue”.

Mancuso e Timochenko depongono davanti a Commissione Verità, ma eludono questione narcotraffico. Padre de Roux, “vittime non perdano speranza”. Seconda parte su Sir-Vaticano.

5 agosto 2021

Una delusione, rispetto alle attese, il confronto di ieri, trasmesso anche in diretta, tra la Commissione della Verità colombiana, presieduta dal gesuita Francisco De Roux, e Salvatore Mancuso e Timochenko. Il primo, ancora recluso negli Usa, è stato il comandante dei paramilitari dell’Auc: passaporto italiano, è stato tra gli uomini chiave del narcobusiness e dell’alleanza con la ‘ndrangheta calabrese per ingresso e monopolio della cocaina colombiana in Europa. Il secondo è stato l’ultimo capo delle Farc, che da guerriglia sono ora diventate un partito politico.
“Voglio riconoscere la mia responsabilità in questo conflitto e voglio dedicare il resto dei miei giorni a ripristinare la dignità dei territori in cui mi trovavo e delle loro comunità. Il modo migliore per riconoscere e chiedere perdono è agire”, ha detto Mancuso, che ha proseguito: “Questo è stato il prodotto dell’azione congiunta che abbiamo fatto, i politici hanno chiuso un occhio. Non erano solo vantaggi economici, ma politici”.
Tuttavia, l’italo-colombiano ha eluso – come ha ammesso lo stesso padre De Roux al termine dell’incontro – la domanda, rivoltagli dalla commissaria Ruiz, che gli aveva chiesto di approfondire il tema del narcotraffico all’origine della violenza in Colombia, fin dal 1983. Mancuso ha ribaltato l’accusa sulle Farc: “Dopo la caduta del Muro di Berlino, finisce l’appoggio economico di Mosca e Cuba; i guerriglieri, per mantenere gli alti costi del conflitto, ricorrono al narcotraffico per finanziare il conflitto armato”.
In ogni caso, il lavoro della Commissione è entrato nel vivo. Oltre al tema del narcotraffico, l’altra questione d’attualità in questa settimana è quella dei “falsos positivos”, le migliaia di persone che lo Stato ha ucciso facendoli passare per guerriglieri, anche se ciò non era vero. Lo scorso 11 giugno l’ex presidente ed ex ministro della Difesa (durante la presidenza Uribe) Juan Manuel Santos aveva deposto sul tema davanti alla Commissione, chiedendo perdono. L’ex presidente Álvaro Uribe, invece, ha sempre detto che non comparirà davanti alla Commissione, ma si è detto disposto a incontrare personalmente padre De Roux. Fin dalla santa messa celebrata alle 11 di domenica scorsa alla chiesa della Soledad, padre De Roux esprimeva speranza dopo la richiesta di un incontro riservato con lui da parte di Uribe, affermando al Sir: “L’ex presidente Uribe ricorda di aver espresso il suo dolore per i falsos positivos e si è scusato con le madri di Soacha e in altre occasioni con le vittime. L’ho invitato, rispettando la sua decisione, a venire volontariamente per presentare la sua analisi e ampliare quel riconoscimento”. Conclude il religioso: “Voglio invitare le vittime a non perdere la speranza, lotteremo affinché questa verità da ogni parte venga portata alla luce in Colombia. Vogliamo che il nostro Rapporto finale faccia sentire la loro sofferenza e il loro dolore”.

Mancuso e Timochenko depongono davanti a Commissione Verità. Morsolin (esperto diritti umani), “il dibattito ha nascosto tanti fantasmi”. Prima parte su SIR-Vaticano

5 agosto 2021

“C’era tensione per il ritardo di un’ora dell’inizio del dibattito promosso da Commissione della Verita, dovuto a problemi tecnici da carcere di massima sicurezza statunitense dove è recluso Mancuso dal 2008”. Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani che vive da anni a Bogotá, capitale della Colombia, non ha perso una sillaba dell’audizione di ieri, alla Commissione della Verità, dell’italo-colombiano Salvatore Mancuso e dell’ex capo delle Farc Rodrigo Londoño, conosciuto come Timochenko.
“Mancuso – spiega Morsolin – non ha rivelato nulla del suo potere nell’impero del narcotraffico, grazie al quale ha investito nelle colline del Chianti. Suo cugino Domenico starebbe nascosto vicino a Genova per garantire il suo impero finanziario in paradisi fiscali come Montecarlo, come denunciato tra gli altri da Roberto Saviano. Il gesuita De Roux sta svolgendo un ruolo complicato per ottenere verità per le vittime, dopo centinaia di efferati massacri nell’arco di un ventennio (1987-2006) ma questo dibattito ha nascosto tanti fantasmi, ha nascosto la verità che chiedono 8 milioni di vittime in un conflitto armato esasperato da mezzo secolo di barbarie”.
In ogni caso, “Mancuso ha citato di aver sostenuto la campagna presidenziale dell’ex presidente Uribe, che spesso ha ricordato di voler ‘hacer trizas’, ridurre a pezzettini gli accordi di pace”.
Non mancano, sul fronte dei “falsos positivos”, novità importanti: “Il generale Montoya, capo dell’Esercito costretto alle dimissioni nel 2008 proprio per lo scandalo dei falsos positivos, è appena stato attaccato dalle madri di Soacha per essere il mandante dell’ideologia della dottrina militare del nemico interno alla base dei falsos positivos: venivano date ricompense all’esercito per dare la caccia a giovani poveri, camuffati da guerriglieri. Le madri di Soacha sono riuscite a portare Montoya sul banco degli imputati, evitando per lui il percorso della Giustizia speciale (Jep), proprio perché non ammetteva questa verità. Ora dovrà essere giudicato da un Tribunale, senza la protezione politica di Uribe”, conclude Morsolin.