Ho conosciuto Mimmo Lucano, pochi mesi dopo la sua prima elezione come sindaco di Riace, durante la marcia nazionale dei sindacati a Locri, nel lontano 1 maggio 2006. C’era il passaggio di consegne nella lotta anti-ndrangheta tra il vescovo-prete operaio monsignor Giancarlo Bregantini, in partenza per nuova diocesi di Campobasso, e Mimmo e il suo esempio di accoglienza in un Piccolo paese della Calabria divenuto un símbolo riconosciuto a livello mondiale, come conferma il messaggio della cara amica sindaca di Barcellona Ada Colau (Podemos): “L’Italia di Matteo Salvini perseguita e arresta Mimmo Lucano, uomo onesto, lavoratore infaticabile, sindaco di Riace, esempio dell’accoglienza e coesione sociale. Le cittá europee devono reagire, Barcellona sta con Riace”, conclude Ada Colau.
Proprio nella Giornata Internazionale della Nonviolenza, istituita dall’ONU nell’anniversario della nascita di Gandhi, la criminalizzazione della solidarietà ha fatto un nuovo, vergognoso passo avanti con l’arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Clelia Bartoli, coordinatrice dell’Associazione Giocherenda di Palermo, un progetto innovativo di integrazione e condivisione con Ragazzi/e migranti (precedentemente collaboratrice della Ministra Cecilie Kyenge), racconta il geniale modello creato da Mimmo Lucano e dai riacesi.
Clelia Bartoli commenta: “Qualche anno fa ero andata a Riace, andai perché stavo scrivendo un libro sul razzismo istituzionale (Razzisti per legge. L’Italia che discrimina, Laterza 2012). Il pezzo su Riace (che riporto qui sotto) concludeva il volume, come a dire: si può essere istituzioni e lavorare con intelligenza, coniugando sviluppo locale e accoglienza. Purtroppo il razzismo istituzionale ora cresce a dismisura, mettendoci tutti in pericolo, intossicando l’ambiente, ferendo i corpi e imbruttendo le nostre anime.
A Riace giunsero dal mare i santi siriani Cosimo e Damiano; qualche secolo più tardi dalle acque emersero due aitanti greci in bronzo, ma presto se ne andarono in un museo di Reggio Calabria; qualche anno dopo approdarono centottanta kurdi, che i riacesi ospitarono e rifocillarono, spronati dai giovani di Città futura, un’associazione locale. Ad ospitare rifugiati i riacesi ci presero gusto e decisero di aderire ad un programma nazionale di accoglienza dei migranti in fuga da guerre, persecuzioni e dittature, ma lo fecero in modo creativo, come sintetizza Lorena, una ragazza che lavora in un progetto del comune: «aiutando ci siamo aiutati».
Riace Superiore è un borgo medievale in collina, affacciato sullo Ionio, sito nel territorio della locride che – oltre mare ed arte – vuol dire ‘ndrangheta, cemento, disoccupazione ed emigrazione. I paeselli della zona negli anni si sono svuotati, impoveriti, divenendo vecchi e diroccati.
A primo acchito quindi Riace si presentava come un posto con poco per i suoi abitanti e meno ancora per chi viene da fuori; in realtà delle risorse c’erano: era pieno di case abbandonate, malmesse ma recuperabili; la vita costava molto poco; la gente non aveva troppi pregiudizi forse perché ciascuna famiglia riacese ha i suoi migranti o forse perché – come mi spiega il sindaco Domenico Lucano – si è tramandato l’arcaico principio di garanzia della sicurezza: «accogli il forestiero tanto bene che non potrà esserti nemico». Fatto sta che ai rifugiati che andavano arrivando, invece di un posto letto in un grande centro di accoglienza, veniva dato un appartamento. Ciò non ha destato le invidie dei paesani perché in questo modo le case e le strade venivano aggiustate, l’arrivo dei bambini ha fatto riaprire la scuola oltre a portare un po’ di allegria in un paese che rischiava di tramutarsi in ospizio, la crescita della popolazione ha insomma migliorato i servizi per tutti.
Il programma SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) a cui ha aderito il comune, prevede un contributo a rifugiato di soli 24 euro giornalieri per un totale massimo di sei mesi (si fa presente che a Mineo un rifugiato costa circa il doppio: dai 40 ai 50 euro al dì), ma con questi soldi a Riace si riesce a dare casa, vitto, corso di italiano, doposcuola per i bambini, cure mediche e mediazione culturale e linguistica.
Questi soldi hanno portato un po’ di movimento all’economia del luogo, certo il problema del lavoro resta, ma ci si sta attrezzando. Sono stati realizzati – sparsi per il paese – dei laboratori artigianali (ceramica, vetro, ricamo, tessitura, falegnameria, cioccolata, ecc.): la regione mette a disposizione delle borse lavoro per il recupero dei vecchi mestieri e poi si integra con il venduto. In ogni bottega ci lavorano autoctoni e rifugiati insieme, cosicché gli stranieri hanno contribuito a recuperare le tradizioni locali. A questo proposito va menzionato il fatto che a Riace il Venerdì Santo si tiene una processione in cui viene rappresentata la passione di Cristo. Alcuni rifugiati musulmani mi hanno raccontato di aver partecipato come figuranti, a detta loro non intendevano rinnegare la propria fede ma semplicemente prender parte al più importante evento del paese.
La cosa che più rende orgogliosi i riacesi è però il turismo solidale: gli anziani al bar snocciolano le nazionalità delle persone giunte a visitare il paesello dell’accoglienza. Scolaresche, scout, giornalisti, registi e viaggiatori trovano alloggio a prezzi popolari nelle diverse case del borgo medievale.
In questo modo sono state create opportunità di impiego come educatori, operatori sanitari, albergatori, ecc. per diversi giovani del posto. Le figure professionali di cui invece non si sente il bisogno – dice il sindaco – sono le forze dell’ordine: in dodici anni di progetti con gli stranieri non si è verificato un solo incidente di ordine pubblico. Qualche incidente a Riace per la verità c’è stato: episodi di intimidazione mafiosa ai danni del sindaco, troppo avaro di concessioni edilizie.
Lucano ammette che la questione economica è certamente quella più complicata da affrontare dal momento che il mezzogiorno è stato ridotto in uno stato di passività e dipendenza cronica da un assistenzialismo viziato da frodi e magagne, aggiungendo però: «forse qui, attraverso i rifugiati, riusciamo ad avere delle idee che risolvono anche i nostri problemi».
E a riprova di come con le buone idee si possa trovar rimedio ai problemi, va menzionato lo stratagemma con cui l’amministrazione ha fatto fronte ai continui ritardi con cui arrivano i fondi per i progetti: a Riace si batte moneta. Sono state stampate banconote con l’effige degli eroi della pace e dell’impegno che possono essere utilizzate in paese come dei ticket e all’arrivo dei finanziamenti verranno scambiate. Lucano mi spiega che l’idea della moneta locale non ha il solo fine di ovviare all’attesa dei pagamenti ma promuove l’autonomia delle persone: quando il rifugiato che arriva riceve questi buoni ha da subito la possibilità di interagire con gli esercenti sforzandosi di imparare la lingua, stabilendo relazione con la gente del luogo, inoltre può decidere cosa acquistare piuttosto che vivere in una struttura dove alla spesa ci pensa qualcun’altro, alimentando nel migrante la dipendenza e impoverendone la dignità.
Il modello Riace riesce a gestire l’accoglienza con costi ridottissimi, distribuisce i benefici su tutti, senza collocare italiani e stranieri in due classi separate e antagoniste, ma provando ad allearli in un progetto di crescita per ciascuno e per tutti», conclude Clelia Bartoli.
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Delitto di solidarietà. Una testimonianza su Mimmo Lucano e il modello Riace (di C. Morsolin)